Riscrittura abiura sotto forma di autodifesa di Federico Pardini

Da Wikiscuola.

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Autodifesa di Galileo Galilei

Io Galileo, chiamato personalmente in giudizio, e inginocchiato di fronte a Voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, mi avvalgo – per diritto – della facoltà di difendermi. Sono stato accusato di eresia, di blasfemia. I miei comportamenti, i miei scritti hanno suscitato scalpore e insofferenza e molte mi è stato intimato di tacere, di parlare solo per ipotesi, non attenendomi ai fatti, alle esperienze, ma bensì alla sola pura base teorica non dimostrata. Ed è qui, in questa data e in questo luogo, che io Galileo chiedo di poter parlare, spiegare ogni cosa. Come già scrissi nelle Lettere a Benedetto Castelli, in realtà c’è un errore di fondo nel vostro operare. La vostra solerzia, la vostra sollecitudine nel proteggere e diffondere il contenuto delle Sacre Scritture è ammirevole, e avendo davanti agli occhi miei i sacri Vangeli – che tocco con le mie mani – so che Dio, e in generale quello che andate predicando, è una parte essenziale, una componente immancabile per ogni essere umano. Ma quello in cui errate è la volontà di credere che ogni parola scritta in tali testi possa valere – acquisire valore – per ogni dottrina. La mala interpretazione di un passo, di una frase, vi porta a fraintendere le cose, a perdere la via del discernimento, della ragione, portandovi a commettere imperdonabili errori di giudizio. Non potete pretendere di avere voce in capitolo su ogni argomento: le dottrine sono tante e enormi e complesse, ed ogni campo ha bisogno di spiegazioni specifiche, chiare e soprattutto adatte al fenomeno studiato. Io Galileo, per parte mia, ho sempre cercato il confronto con Voi Emin.mi Cardinali, spiegando le mie ragioni e avvalorandole con dati di fatto. Ho definito il compito delle Sacre Scritture, per come lo vedo, e il ruolo della scienza, del progresso, che Voi tanto ripudiate. Ho perseverato e sperato e creduto che l’evidenza, l’incontrovertibile evidenza, vi avrebbe aperto gli occhi, avrebbe aperto i Vostri cuori e la Vostra anima elevata ad accettare la realtà. Ma trovandomi qui, di fronte a Voi, capisco di non essere riuscito nel mio intento, di non aver fatto breccia nel Vostro spirito, compito che mi accingo a compiere oggi, verso questo S.Uffizio, sperando in una risposta diversa, concreta. Nel Sidereus Nuncius da me composto nell’anno 1610, descrivo le osservazioni raccolte nei miei anni di studi, attraverso il cannocchiale, sulla volta celeste. In questo trattato scientifico tento di spiegare come le tesi dei peripatetici, o Aristotelici in generale, entrino in contrasto con le rilevazioni dai miei calcoli ottenute. La presenza di montagne e sporgenze sulla Luna, il comportamento di Giove, e altri elementi favorevoli alla teoria Copernicana mi convinsero di essere di fronte ad una svolta epocale nello studio del cielo e dell’Universo. Resi partecipi delle mie idee anche Voi, e con speranze sempre più motivate, mi preparai a diffonderle nel mondo. Il mio animo era ansioso, ma fiducioso nella ragione e nella forza dei fatti. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo grandemente. La risposta inviatami dal Cardinale Bellarmino, nella tarda ora in cui la lessi, mi trafisse il cuore, il cervello e ogni parte recondita e importante del mio corpo. Mi sentii male, e persi il respiro, perché il destino mi aveva voltato le spalle, e mi venivano chieste cose indegne, impensabili, al di fuori di ogni concezione. Oggi, io Galileo, sono stato chiamato personalmente in giudizio, e inginocchiato di fronte a Voi – Rev.mi Cardinali – sono qui per ascoltare la mia condanna. Oggi, io – Galileo – sono qui perché voglio difendermi. Perché voglio capire. Voglio comprendere il motivo della Vostra paura insensata, del Vostro panico malcelato. Scienza e Sacre Scritture possono convivere. Tutto ha inizio in Dio e con Dio. Ogni cosa. Ma è la scienza che deve spiegare la natura, la sua particolarità. Questo è il suo compito stabilito.


Così la ragione venga in mio aiuto, e i Vangeli che le mie mani ancora toccano possano dimostrare la mia buona fede.


Io Galileo Galilei, suddetto, ho difeso le mie convinzioni di fronte a Voi, e le porto con me anche nella morte. Con coscienza, di propria mano, ho sottoscritto la mia difesa, il mio tentativo di apologia, in Roma, nel Convento della Minerva, il giorno 22 giugno 1633.


Io, Galileo Galilei, mi sono difeso. E tutto quello che verrà – francamente – non ha importanza.


Pardini Federico

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